Rousseau al supermercato. Gli inganni della nostalgia alimentare

Perché quando si parla di cibo guardiamo sempre al passato con nostalgia? Perché fatichiamo ad accettare l’innovazione in agricoltura, mentre la accogliamo con entusiasmo in medicina o in tecnologia? A queste domande ha provato a rispondere Maurizio Ferraris, filosofo e professore all’Università di Torino, in una lezione brillante e provocatoria che ha mescolato antropologia, storia e filosofia.

Secondo Ferraris, la nostalgia alimentare nasce da un legame profondo tra cibo e affetto. Il cibo è il primo linguaggio relazionale che sperimentiamo: è parte dell’accudimento, della socialità, dei ricordi d’infanzia. Ed è proprio per questo che, anche da adulti, tendiamo a idealizzare il passato culinario, immaginando “il pane di una volta” come più buono, più genuino, più vero. Eppure, osserva Ferraris, nessuno sceglierebbe un medico del Seicento, mentre sul pane del Seicento si fantastica spesso, dimenticando che, nel 1628, si moriva di fame per la sua mancanza, come racconta Manzoni nella rivolta del pane.

Ferraris smonta anche il mito dell’agricoltura “pura”, risalente al pensiero di Jean-Jacques Rousseau, secondo cui l’uomo allo stato di natura era virtuoso, e la tecnica ha portato solo corruzione. Una visione che ignora quanto la tecnica sia alla base dell’umanità stessa: dal camminare eretti alla capacità di parlare, fino all’invenzione della ruota, dei mulini e della catena del freddo. Il filosofo sottolinea che l’industria alimentare, pur con le sue ombre, ha reso possibile una distribuzione più equa, sicura e varia del cibo, contribuendo a migliorare la qualità della vita e ad allungare la nostra aspettativa di vita.

Con ironia, Ferraris riflette anche sul modo in cui si costruiscono le narrazioni idealizzanti: dai cacciatori-raccoglitori felici attorno al fuoco alla barbabietola selvatica più “vera” di quella coltivata. Ma davvero preferiremmo tornare a un passato di fame, scarsità e malnutrizione? “Io – ha detto – preferisco Netflix ai racconti attorno al fuoco, e se siamo tutti vivi in questa sala, lo dobbiamo anche all’agricoltura e all’industria.”

In conclusione, Ferraris invita a guardare al presente con lucidità, senza demonizzare la tecnica e senza cadere negli inganni della nostalgia. Per costruire un’agricoltura più giusta e sostenibile, serve consapevolezza storica e capacità critica, non rimpianti romantici per un passato che, spesso, non è mai esistito.