Lucia Galasso, antropologa e archeologa dell’alimentazione, ci ha guidati in un viaggio che attraversa secoli, culture e simboli, partendo da due elementi semplici e fondamentali: il pane e l’acqua. In una conversazione ricca di immagini evocative, Galasso ha mostrato come questi due alimenti siano ben più che nutrimento: sono memoria collettiva, mito e rito, strumenti di sopravvivenza e di spiritualità.
L’acqua, da sempre desiderata e temuta dal mondo contadino, è simbolo tanto tecnologico (nei sistemi di irrigazione dell’antichità) quanto religioso, evocando timore e reverenza. Il pane, invece, è l’emblema di una storia agricola millenaria, che affonda le sue radici ben prima dell’Impero romano, con tracce di panificazione risalenti a 30.000 anni fa nel sud Italia. È un gesto ancestrale: impastare, spezzare, condividere. “Nessun alimento – ha detto Galasso – sazia la fame di significato come il pane.”
Il pane torna anche nei gesti più intimi e rituali, come il bisogno di un ultimo pezzo sul letto di morte, o nella magia popolare: farina lanciata prima di entrare in trance, pane lasciato nelle stalle come benedizione. Sono storie che nascono dalla paura fisica della fame, ma anche dal bisogno umano di dare senso all’inspiegabile.
Eppure, il pane non è universale solo per radici europee: ovunque l’uomo abbia potuto sfarinare, ha creato forme di pane, come in Asia il pane di riso. Le culture alimentari si contaminano, si intrecciano, si trasformano. Proprio come accade oggi, con ingredienti nuovi e simboli che mutano: “Oggi temiamo la farina di grilli – ha detto – ma un domani potrebbe essere parte della normalità.”
Infine, Galasso ha espresso fiducia nell’intelligenza artificiale come strumento che, anche nel campo alimentare, potrebbe offrire nuove visioni, senza dimenticare che le storie – individuali e collettive – sono ancora il nostro primo conforto. E, come il pane, continuano a tenerci uniti.