Nelle cittĂ si pianifica tutto, tranne il cibo. Eppure questo è un bene primario, che produce impatti enormi sulla salute pubblica, sull’ambiente e sulla qualitĂ della vita. La scarsa qualitĂ alimentare – anche nei paesi occidentali – è ancora una realtĂ , e il diritto a scegliere cosa mangiare non può dipendere dal reddito o dal livello culturale. “Paghiamo piĂą un parcheggio che un panino”, hanno osservato provocatoriamente Elena Di Bella ed Egidio Dansero, rispettivamente  dirigente della CittĂ metropolitana di Torino e professore ordinario di Geografia economico-politica all’UniversitĂ di Torino, durante l’incontro Nutrire Torino, cittĂ metropolitana conducendoci in un viaggio tra distretti del cibo, food planning e democrazia alimentare.
Torino ha una peculiarità rara: è una città che mangia — con i suoi 850 mila abitanti — ed è circondata da un territorio agricolo attivo e prossimo. Non sono molte le città europee a godere di simili caratteristiche. Eppure, il rapporto tra città e campagna rimane fragile. Esiste un legame culturale tra i torinesi e l’agricoltura, tuttavia molti ignorano i territori limitrofi, associando invece le Langhe a sinonimo di qualità e varietà . Perchè andare così lontano — a 40-50 chilometri di distanza — quando questa ricchezza è a portata di mano? La questione è di consapevolezza, ma anche di politiche agricole: le città possono fare molto per riorientare il sistema del cibo. Lo scorso anno, la Città Metropolitana ha approvato l’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile, con l’obiettivo di guidare le politiche locali attraverso leve concreteristorazione collettiva, i mercati, la gestione degli sprechi, i gruppi di acquisto e il recupero dei terreni pubblici per ridisegnare le filiere sono strumenti fondamentali per ridisegnare le filiere alimentari.
Un ruolo chiave lo giocano i distretti del cibo, che obbligano istituzioni, produttori e cittadini a lavorare su obiettivi condivisi, superando frammentazioni e rivalità . In Italia alcune città si sono già mosse: Milano, con una food policy articolata, è oggi modello virtuoso; Roma ha attivato un partecipato “Consiglio del Cibo”. Torino invece arranca, ancora frenata da priorità politiche diverse – “c’è Stellantis sopra tutto” – e da una governance frammentata, pur avendo avviato percorsi come GIPA e Punto al Cibo.
Serve una visione più coraggiosa e integrata, per passare dalla riflessione all’azione. Perché nutrire una città non è solo portare cibo nei supermercati: è una questione di giustizia sociale, salute pubblica e futuro sostenibile.