Perchè gli agrofarmaci non sono veleni

Gli agrofarmaci sono strumenti indispensabili per la difesa delle colture, proprio come le medicine per gli esseri umani. Eppure, quanto spesso ci si riferisce a loro come “pesticidi” o – addirittura – “veleni”?

Tanto spesso demonizzati, gli agrofarmaci in realtà non sono altro che le medicine delle piante, ma per poterli usare in modo corretto è fondamentale conoscerli bene. Maria Lodovica Gullino, fitopatologa e direttrice scientifica di Coltivato, e Massimo Scaglia, vicepresidente di Federchimica, nel corso dell’incontro Perché gli agrofarmaci non sono veleni, hanno fatto chiarezza su alcuni falsi miti attorno a questi prodotti, derivanti da anni e anni di studi e ricerche e sottoposti a criteri rigorosi prima di essere commercializzati.

Come nasce un agrofarmaco?

Rispetto al passato, gli agrofarmaci si sono evoluti notevolmente. Fu Rachel Carson, con la pubblicazione del saggio Primavera silenziosa nel 1962, a denunciare per prima gli effetti nocivi per l’ambiente degli agrofarmaci, e in particolare del DDT: da allora, il settore ha intrapreso un percorso evolutivo importante.

Gli agrofarmaci sono oggi più selettivi rispetto all’obiettivo, hanno un impatto ambientale ridotto e agiscono in modo mirato. Le normative europee, in particolare, sono tra le più severe al mondo: ad esempio, quando viene definita la dose giornaliera accettabile per una sostanza, questa viene abbattuta di 100 volte per garantire la massima sicurezza.

Per dare un’idea di ciò, basti pensare che ogni molecola passa attraverso un rigoroso processo di valutazione condotto dal Ministero della Salute in Italia e secondo parametri molto severi a livello europeo: per essere registrati e commercializzati, gli agrofarmaci devono superare studi approfonditi su tossicologia acuta e cronica, ecotossicologia, residui negli alimenti, efficacia e destino ambientale. Tutto questo comporta tempi lunghissimi (fino a 10 anni) e un investimento medio di circa 200 milioni di dollari per molecola.

Dalle migliaia di campioni analizzate ogni anno dal Ministero della Salute, risulta che da diversi anni meno dell’1% supera il limite massimo di residui consentito. Le colture con più residui sono in genere orticole e frutta, ma esistono anche prodotti con residui pari a zero.
Dai dati dell’EFSA, che pubblica ogni anno i dati sui residui nei prodotti alimentari europei ed extraeuropei, oltre il 50% dei campioni non presenta residui rilevabili. 

Il nostro cibo, quindi, è sicuro, e questo dimostra che gli agricoltori italiani lavorano con attenzione e responsabilità.

E in caso di “cocktail”?

La valutazione della tossicità di una sostanza si basa su due fattori: pericolosità ed esposizione. Quando più sostanze interagiscono, possono verificarsi tre situazioni:

  • Riduzione dell’effetto;
  • Addizione dell’effetto (soprattutto se la struttura chimica è simile);
  • Effetto sinergico.

Gli studi hanno dimostrato che il “cocktail” è irrilevante, perché i residui coinvolti sono minimi. Le autorità sanitarie raggruppano e analizzano attentamente le molecole con possibili effetti additivi per garantirne la sicurezza.

Le colture minori

Sono tra gli agrofarmaci più critici, perché agiscono sugli insetti ma, se usati male, possono essere dannosi anche per l’uomo. Tuttavia, i nuovi insetticidi sono molto più tollerati e meno tossici, e devono rispettare standard rigorosissimi di ecotossicologia. In Europa, registrare un nuovo insetticida è quasi impossibile. Questo ha portato all’uso di soluzioni naturali, ma spesso non bastano contro insetti arrivati dall’estero che distruggono le coltivazioni.

La normativa UE stabilisce in ogni caso che, quando viene approvato un prodotto più innovativo e meno impattante, quello precedente viene automaticamente eliminato. 

Innovazione e tecnologia

L’industria sta lavorando molto sulle formulazioni per rendere i prodotti meno dilavabili dalla pioggia e più persistenti. Oggi esistono macchine in grado di applicare agrofarmaci solo dove serve, riducendo drasticamente l’impatto. Anche l’Intelligenza Artificiale gioca un ruolo chiave nell’analisi dei dati e nella prescrizione mirata dei trattamenti. Ogni azienda ha i suoi protocolli e prodotti, ma ciò che fa la differenza è la soddisfazione dell’agricoltore, che si misura sulla base della redditività che riesce a ottenere.