Le montagne stanno male.
Così, con parole semplici e dirette, la climatologa Elisa Palazzi ha riassunto una delle evidenze più preoccupanti della crisi climatica in corso. Durante il suo appassionato intervento a Coltivato 2025 ha mostrato come le aree montane stiano cambiando più rapidamente di qualsiasi altro ambiente terrestre, diventando vere e proprie sentinelle del cambiamento climatico.
Le celebri warming stripes di Ed Hawkins, le strisce colorate che rappresentano l’andamento delle temperature medie annuali, offrono un colpo d’occhio efficace per visualizzare il riscaldamento globale. Il 2024 – ha spiegato Elisa Palazzi – è stato l’anno più caldo mai registrato, con anomalie di +4 °C rispetto al trentennio 1950–1980. Nonostante una temporanea riduzione delle emissioni durante la pandemia, il trend non si è mai invertito. E ciò che colpisce è la velocità con cui il cambiamento sta avvenendo.
Le montagne, in particolare, si riscaldano più in fretta del resto del pianeta. A causa della perdita progressiva delle superfici innevate e ghiacciate, il meccanismo dell’albedo – cioè la capacità della neve di riflettere la radiazione solare – si indebolisce, e le superfici scure assorbono più calore, innescando un effetto amplificato. Il risultato è un circolo vizioso: meno ghiaccio, più calore, meno ghiaccio. E a peggiorare il quadro, anche l’abbassamento della linea di equilibrio dei ghiacciai, che rischia di far sopravvivere solo quelli oltre i 3500 metri.
Ma le montagne non sono solo paesaggio: ospitano il 14% della popolazione mondiale, custodiscono acqua sotto forma di ghiaccio (la criosfera) e raccontano la storia climatica del pianeta attraverso le carote di ghiaccio. “Sono un laboratorio a cielo aperto – ha detto Palazzi – in cui possiamo osservare fenomeni accelerati che altrove sono più lenti.”
Rispondendo a una domanda di Maria Lodovica Gullino, Palazzi ha spiegato che quasi nessun ghiacciaio è oggi in buona salute. Anche gli inverni nevosi, da soli, non bastano: quel che conta è quanta neve riesce a diventare ghiaccio stabile, e questo accade sempre meno.
Un passaggio particolarmente significativo dell’intervento di Palazzi ha offerto uno sguardo inedito sulle montagne, mettendo in luce una prospettiva a cui raramente si pensa: quella femminile. In molte aree interne, l’emigrazione maschile legata alla scarsità di opportunità lavorative ha lasciato alle donne il carico delle attività agricole e pastorali. Ma proprio in questi contesti, ha spiegato Palazzi, le donne mantengono vive le economie locali, custodiscono saperi tradizionali e guidano la resilienza delle comunità . Tuttavia, in situazioni di emergenza climatica, spesso le donne sono anche più vulnerabili: “Gli allarmi vengono diramati nei luoghi pubblici, ma non sempre le donne vi hanno accesso, soprattutto in contesti più isolati.”
La climatologa ha poi sottolineato l’importanza delle scelte politiche informate, ricordando che gli effetti dell’azione umana sono ormai inequivocabili: “C’è un 99% di probabilità che l’attuale riscaldamento sia causato dalle attività antropiche. I cicli naturali, da soli, non giustificherebbero un simile trend.”
Infine, in risposta a una domanda del pubblico, Palazzi ha acceso i riflettori su un tema raramente discusso: l’impatto climatico delle guerre. Le attività militari, ha spiegato, non sono soggette agli obblighi di trasparenza sulle emissioni di gas serra, rendendo il loro contributo alle emissioni globali sottostimato e invisibile.
La conclusione, tutt’altro che rassegnata, è stata un invito all’azione: “Un mondo più caldo non è necessariamente incompatibile con la vita, ma è incompatibile con il modo in cui siamo abituati a viverla. Abbiamo ancora tempo, ma serve coraggio, responsabilità e soprattutto fiducia nel ruolo della scienza. Il futuro è nelle nostre mani.”