Le ricerche condotte negli ultimi cento anni hanno influenzato notevolmente la storia del riso, alimento che oggi sfama due terzi della popolazione mondiale, oltre a dar vita nelle aree in cui è coltivato a paesaggi suggestivi. Nel loro intervento a Coltivato 2025, Vittoria Brambilla e Natalia Bobba hanno ripercorso le tappe fondamentali di questo percorso, illustrando una serie di tecniche basate su un principio essenziale: una pianta meno stressata è in grado di difendersi autonomamente da patogeni e fattori ambientali avversi.
Proprio cento anni fa è iniziato il processo di miglioramento genetico del riso, che ha portato allo sviluppo di una notevole varietà di questo prodotto. Si pensi al carnaroli, il re dei risotti, ottenuto nella metà del secolo scorso grazie a Ettore De Vecchi di Paullo, agronomo e risicoltore che, incrociando due diverse varietà di riso, riuscì a ottenere il chicco perfetto, dalla granulometria spessa e con una biometria importante.
Proprio in quel periodo si assisteva a una vera e propria accelerazione tecnologica, che risponde alle necessità legate al cambiamento climatico. In questo contesto, le TEA svolgono un ruolo importantissimo: permettono infatti di ottenere una mutazione in tempi più rapidi e con una maggior precisione rispetto alle tecniche tradizionali, arrivando a sviluppare varietà resistenti ad alcune malattie fungine di difficile contenimento a causa delle restrizioni d’uso dei rispettivi agrofarmaci, come ad esempio il brusone del riso.
Allo stato attuale il dibattito è ancora aperto e delicato: le tecniche CRISPR/cas9 sono normativamente equiparate a quelle classiche, secondo una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea. Altre nazioni come Cina ed USA invece hanno un approccio più aperto e orientato alla ricerca, con regolamentazioni meno restrittive.