Acqua e agricoltura: tra piogge e siccità, la parola agli esperti

Tra grandi piogge e lunghi periodi di siccità, il rapporto tra acqua e agricoltura è sempre più difficile da gestire: la gestione delle risorse idriche in ambito agricolo richiede attenti studi, misure preventive e non pochi investimenti; mentre una parte d’Italia continua ad affrontare piogge battenti, alcune regioni già manifestano i primi segni delle siccità estive. Per approfondire l’argomento, due interviste realizzate in esclusiva per il sito di Coltivato dal giornalista Luca Fiocchetti: a Vittorio Viora, classe 1955, laureato in giurisprudenza, presidente di ANBI Piemonte e consigliere di Confagricoltura Torino; e a Paolo Romano, classe 1943, laureato in Ingegneria civile al Politecnico di Torino e Presidente della SMAT – Società Metropolitana Acque Torino S.p.A.

Dottor Viora, il suo impegno professionale può essere riassunto in tre A: Acqua, Agricoltura, Assicurazioni. Che tipo di impatto hanno subito e subiscono dal cambiamento climatico questi settori?

La priorità spetta all’acqua, e non credo che la politica si sia resa conto dell’urgenza. La statistica ormai la conoscono tutti: l’Italia conserva solo l’undici per cento della pioggia. Perciò bisogna riprendere la costruzione di bacini e invasi che dopo la tragedia del Vajont si è praticamente bloccata. Abbiamo pronti studi e progetti, ma lo Stato non vuole finanziarli. L’agricoltura, che senza acqua non esiste, paga questo immobilismo, ma anche gli effetti di una politica europea dissennata, che si è dovuta piegare alle pressioni di una deriva ambientalista trasversale. Siamo tutti ambientalisti, ma bisogna vedere se le proposte sono attuabili e soprattutto utili al settore. 

E il mondo assicurativo? Ci sono prodotti che assicurano gli agricoltori dalle perdite dovute agli effetti del cambiamento climatico?

Oltre alle classiche polizze contro gli eventi naturali, uno strumento sono le assicurazioni parametriche, che prevedono parametri fissi all’accadere dei quali scattano gli indennizzi. Ma la vera innovazione doveva essere questo Fondo Catastrofale, che ha debuttato lo scorso anno col nome di Agricat. L’idea era giusta, ma si è rivelata un fallimento perché la capienza del Fondo era troppo limitata per coprire le perdite degli agricoltori che in alcuni casi sono state totali. Purtroppo siamo lontani dagli Stati Uniti dove si può assicurare anche la rendita del raccolto.

Dottor Romano, dal privato cittadino all’industria tutti sono responsabili dello spreco di acqua, ma è sempre l’agricoltura quella che viene indicata come principale colpevole. È davvero così?

Iniziamo col dire che il consumo è diventato spreco quando l’acqua è diventata poca, prima di questi eventi siccitosi nessuno si preoccupava di chi ne usava di più o di meno. Il consumo d’acqua in Italia è molto alto e non solo per l’agricoltura, una persona qui usa 170 litri d’acqua al giorno mentre in Germania, ad esempio, è la metà. È elevato, ma finché l’acqua era abbondante non rappresentava un problema. Su un totale di 25 miliardi di metri cubi l’anno, il 60% è utilizzato dal settore agricolo. Se si riuscisse a risparmiare una piccola percentuale di questa quantità sarebbe comunque un risultato enorme. Perciò è normale puntare l’attenzione sul settore che consuma più acqua, però noto già un significativo cambio delle pratiche agronomiche in un’ottica di sostenibilità e risparmio idrico. 

Allora, un aumento delle infrastrutture e delle sensibilità, individuali e aziendali: è questa la chiave per risolvere i problemi dell’approvvigionamento idrico?

Come Smat serviamo 293 comuni, da quelli montani a quelli di pianura, e abbiamo invitato tutti a un uso oculato nei periodi di maggiore siccità e devo dire che la risposta dei cittadini è stata esemplare, con il consumo idrico che addirittura diminuiva nei giorni più caldi. Perciò col mutare del clima è cambiata anche la sensibilità sociale, perché si è compresa la gravità del problema. Per quanto riguarda le infrastrutture, oltre alla finanziabilità dei piani industriali, c’è la questione del prezzo dell’acqua, che in Italia è il più basso d’Europa, i nostri vicini francesi, ad esempio, la pagano il doppio. Con maggiori introiti, naturalmente, sarebbe più facile fare investimenti nelle infrastrutture per nuove realizzazioni e per interventi sulla rete di distribuzione. Ci è venuto incontro il PNRR, grazie al quale, come Smat, stiamo realizzando un acquedotto nella Valle Orco che prende acqua dalle vecchie dighe del Gran Paradiso per servire le zone di pianura. Un progetto da 260 milioni di euro realizzato senza pesare sulle bollette.

Dottor Viora, l’appuntamento con la seconda edizione di Coltivato si avvicina, qual è il contributo che questo Festival può dare al complesso settore agricolo e quindi alla nostra alimentazione?

L’idea di questo Festival la definirei provvidenziale perché c’è bisogno di capire cos’è veramente l’agricoltura. Un settore così strettamente intrecciato ad altri che lo si può comprendere solo osservando il quadro completo, con tutti gli interessi che sono correlati. Il marketing ci consegna un’idea romantica della produzione alimentare, come la cucina della nonna o il Mulino Bianco, ma che è completamente distaccata dalla realtà. Il mondo agricolo non riesce più a correlarsi col mondo dei consumatori a causa di questo pseudo ambientalismo imperante che sembra non rendersi conto di come funzionano i settori, per noi vitali, come la produzione del cibo. Questo Festival è un’opportunità da sfruttare per comprendere davvero il settore, perché un Paese che perde la sua tradizione agricola o la coscienza del suo funzionamento perde un pezzo importante della sua stessa storia.

E secondo lei, Dottor Romano, quale contributo può dare Coltivato al complesso sistema dell’agricoltura e alla nostra alimentazione?

L’importanza di questo Festival sta nel fatto che porta trasparenza nell’informazione che si dà ai cittadini sulla qualità dei prodotti che vengono immessi sul mercato. Il consumatore che va al mercato è frastornato da tante notizie diverse e allarmanti e sono le aziende a dover togliere questa ansia fornendo la massima trasparenza sui propri prodotti. Ed è questo che fa Coltivato, ovvero portare maggiore informazione per comprendere quali settori e quali fattori concorrono per far sì che quei prodotti arrivino sulle nostre tavole.