Parla l’olio, filo verde della civiltà, con la voce di Luigi Caricato

Luigi Caricato è una figura fuori dal comune nel mondo dell’olivicoltura. Nato tra uliveti e frantoi, inizialmente era riluttante ad accettare questa eredità. Solo più tardi, dopo studi in ambito umanistico, ha deciso di restituire dignità e centralità a questo patrimonio, scrivendo oltre 30 libri e fondando l’Olio Officina Festival, evento di riferimento per il settore.

Caricato ha trasformato l’olio da alimento a tema culturale, storico, mitico e tecnologico. Nel corso dell’Intervista Impossibile a Coltivato 2025 ha dato voce all’olio, raccontandone la storia millenaria, dalle origini domestiche della pianta oltre 7000 anni fa fino all’innovazione genetica più recente. Ha coniato il termine “olivigni” per rivalutare le 538 cultivar italiane, spesso ignorate in un contesto dove l’innovazione varietale stenta a decollare.

Durante l’ultimo festival, ha lanciato una provocazione visionaria: isole galleggianti di olivi, un’idea che risponde alle sfide poste dalla salinizzazione delle acque e dai cambiamenti climatici. Per Caricato, l’olivicoltura non è nostalgia ma prospettiva, a patto che si superino le resistenze culturali all’innovazione.

La storia dell’olio è anche storia di usi: non solo alimento, ma un tempo impiegato per l’illuminazione, l’igiene, la medicina. Oggi, finalmente, ne conosciamo l’identità nutraceutica: oltre all’acido oleico, l’olio extravergine vanta una frazione minore ricca di biofenoli e tocoferoli, responsabili delle sue proprietà salutistiche.

Il settore però arranca. L’Italia, un tempo leader, è oggi quinta al mondo per produzione, frenata da abbandono, scarsa redditività e rigidità normative. La Xylella ha devastato intere aree, e persino piantare nuovi olivi può diventare un problema burocratico.

Caricato denuncia una paura del nuovo, che ha portato a un’arretratezza tecnologica. Parla di “olivicoltura a parete” per smorzare l’ostilità verso l’alta densità e sottolinea l’urgenza di modernizzare impianti, raccolta e trasformazione, pur nel rispetto della tradizione.

L’olio, dice, è un prodotto tecnico e culturale. Va raccontato con un linguaggio capace di unire scienza e sentimento. Per questo serve un nuovo modo di parlarne: uno spazio aperto dove si incontrino produttori, cuochi, artisti e consumatori per riconoscere nell’olio non solo un alimento, ma un patrimonio identitario e collettivo.